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Teresa Emanuele di Fabiana MENDIA

Oggetti riconoscibili e altri difficili da identificare. Fotografie che non ricalcano la realtà ma che "de realizzano" ciò che fissano. Immagini che sembrano essere il negativo della presenza e che trovano un peso, un senso, se non acquisendo un diverso tipo di esistenza, diventando simboli e svolgendo una funzione iconica finchè l'immagine consente la riconoscibilità. Sette stampe scattate da Teresa Emanuele protagonista la natura e alcuni elementi della terra, l'acqua, il fuoco, in cui l'artista romana ventinovenne, sottopone la fotografia a manipolazioni che alterano il contenuto fino a farle perdere la propria identità. Sulle pareti azzurre del bistrot del Teatro Quirino-Vittorio Gassman (aperta dalle 8 alle 24), campeggiano le immagini realizzate in digitale, testimonianze degli stati d'animo della Emanuele: scatti che catturano, perché prevalgono percezioni visive e, quindi, una veridicità basata su applicazioni da valutazioni astratte ai dati sensoriali. "Spine", "Radici", un tipo di foto in cui l'espressività non è legato al concetto di "istantanea", di rapidità dell'esecuzione, ma la tensione registrata trova il culmine nella immobilità e nell'idea concettuale di enormi rami che capovolti non toccano il cielo, ma nascono dalla terra.

Il viaggio a New York per Teresa Emanuele non è rappresentato come una documentazione fotografica. I pali della luce per le strade, alcuni elementi che servono per scoraggiare di sedersi su certe balaustre, vanno oltre la saturazione ottica tradizionalmente iconica dei grattacieli, delle avenue. Le interpretazioni possono essere le più varie, ma le motivazioni, considerando l'estrema duttilità delle immagini, trovano essenziali punti di contatto fra ciò che è riprodotto e ciò che si intende affermare.



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