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Granet. Roma e Parigi, la natura romantica di Fabiana MENDIA

Lo spirituale nell’arte di François-Marius Granet, nato a Aix-en-Provence nel 1775, allievo per un anno a Parigi di Jacques-Louis David, si percepisce nelle visioni della natura fuggevole e nella sua risonanza affettiva. Sia che si soffermi a descrivere la Vallata del Tevere al tramonto, i Pini marittimi sulla collina di sera o il Monastero di Santa Scolastica a Subiaco, cogliamo l’espressione visibile dell’infinito e il misticismo naturalistico che a volte inclina al controllo delle emozioni e a volte all’esaltazione mistica. Nel suo viaggio in Italia ha preferito una sola meta, Roma, i cui incanti rosa e celesti di tramonti lo hanno frenato dal cercare altrove le suggestioni delle solitudini e silenzi contemplativi, da cui il maestro di Aix ha tratto forza per creare la propria avventura artistica. Dal 1802 al 1824, a contatto diretto con le rovine e la gloria dell’antico, dipinge con una sensibilità luministica che lo avvicina ai paesaggisti italianizzanti del ‘700 olandese, scorci sublimi dei monumenti del Foro, case e castelli che dominano le vallate della Campagna Romana, incline visibilmente a studiare i movimenti delle nuvole e a dipingere le variazioni atmosferiche di quei luoghi. Frédéric Mitterand, direttore dell’Accademia di Francia di Villa Medici, sicuramente ha scelto la stagione più indicata per presentare al pubblico della capitale uno dei grandi interpreti della pittura di storia e della pittura en plein air: la luce e i colori della primavera romana avvicinano in modo diretto e libero ai paesaggi di Granet, “ci appaiono improvvisamente tanto “moderni”, nel senso “antimoderno assegnato al termine da Baudelaire: intimità, spiritualità, aspirazione verso l’infinito?”, sottolinea nel catalogo Marc Fumaroli (edito Electa). Ma anche se sono ancora pochi a conoscere i suoi colori appassionati che esigono tuttavia un disegno rapido, dalle energiche flessioni, la scelta della curatrice Anna Ottani Cavina (insieme a Marc Bayard e Bernard Terlay) di esporre a Villa Medici le sue opere più innovative, meno note e poetiche è interessante e di sicuro gradimento da parte dei visitatori. Un centinaio di oli su carta e su tela e di acquerelli, provenienti dal museo della sua città natale, esposte nelle sale del pianterreno e lungo le rampe delle scuderie, raccontano “Granet. Roma e Parigi, la natura romantica”, fino al 24 maggio.

L’incontro con l’interprete del paesaggio antieroico, dei cieli tempestosi e dei tramonti infuocati, attraverso la serie dei frammenti di natura fuggevole (i piccoli quadri dipinti a olio su carta) avviene con il ritratto eseguito dall’amico Ingres nel 1807. La testa è fiera, è dipinto avvolto da una cappa di pastore provenzale dalle pieghe maestose con l’album “in cui aveva tutta Roma in cartella”. Segue la sezione degli interni claustrali e conventuali, un genere che lo rese famoso con la qualifica di “peintre des Capucines”, dal soggetto in cui riprende il Coro della chiesa di piazza Barberini. Liriche e sentimentali, ma mai nostalgiche, la serie “en plein air”: tra i fogli, “Il Colosseo”, inquadrato solo in parte e tra le rovine, messo così da parte da una natura serena e consolatrice. La rassegna chiude in dissolvenza, sulle immateriali invenzioni che realizza negli ultimi anni trascorsi in patria. Per il re Luigi Filippo dipinge grandi quadri di storia, ma le fughe romantiche, le emozioni non contenute sono visibili negli acquerelli con le inquadrature dei “quais” della Senna, del lago nel parco di Versailles e del bosco di Satory
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