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Illusioni, simboli e teatralità: ecco l'ultimo Kokocinski di Fabiana MENDIA

Una nuova ebbrezza creativa che affronta stati psicologici contrastanti attraversa non senza forti tormenti il carattere teatrale, illusionistico e simbolico dell’ultimo Kokocinski. Nei tenebrosi saloni-antri delle Sibille di Palazzo Venezia le grandi tele del pittore, nato in Italia nel ’48 da genitori russi, generano la convinzione che la vita dell’uomo sia soprattutto una lotta per la sopravvivenza e che del suo fascino faccia inevitabilmente parte la morte. “La potenza dello spirito”, a cura di Claudio Strinati, è il titolo della mostra in cui si dichiara apertamente l’energia dell’invenzione in cui affiorano i sedimenti dell’anima che l’artista esprime soprattutto nei corpi che appaiono in primi piani ravvicinati, che attirano lo sguardo con immediatezza e in cui si percepisce qualcosa di immensamente estatico e visionario.

La compiutezza delle forme è un richiamo evidente alla volontà e al tentativo di raggiungere solidità degli impianti compositivi in cui alterna una diversa adesione alle convenzioni visive, richiamandosi alla generosità degli impianti barocchi di Luca Giordano e degli altri maestri del ‘600, per raggiungere la monumentalità feroce di Goya e sfiorare le deformazioni di Bacon. Le sue potenti pennellate modellano corpi che annunciano la natura della creazione e affermano la nostalgia e la delusione per una perduta unità tra arte e vita e denunciano anche il tentativo di purificare la materialità del mondo. Alessandro Kokocinski si rifugia nel mito, nel misticismo della bellezza con “Il ratto di Ganimede”, “Andromeda”, “Medea”, “Prometeo”. Artista indipendente, dalla solida materialità pittorica abbandona le forme impetuose e gli amori tempestosi degli dei, che potrebbero essere lette come una sorta di parabola universale della condizione umana, e trova una improvvisa schiarita nelle opere “Imprimeresti il segno dell’eternità” e “Liberi della schiavitù delle parole” (Santo Spirito-Tarquinia). Intensità emotiva nei bianchi spatolati di “Napoli 2008. Dov’è Pulcinella”: la maschera ride ma una testa mozzata ai suoi piedi ha una smorfia di dolore contratta. L’omaggio dell’amico Alberto Sughi con il trittico “Stabat Mater” completa la lettura nella sala Regia dell’estasi creativa del profeta errante dall’intensa spiritualità sensoriale.
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