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La magnificenza e l'utile di Fabiana MENDIA

Niente di più eloquente, celebrativo e di inequivocabile impatto comunicativo, per trasmettere attraverso il proprio ritratto, la duplice natura, spirituale e temporale del suo mandato: papa Gregorio XIII Boncompagni commissiona nel 1585 la sua effige al pittore Domenico De Rossi, incorniciato dalle immagini delle facciate e prospetti delle confraternite, istituzioni assistenziali, collegi e seminari fondati in Italia e in Europa, durante il suo pontificato. Ma, affermazione del potere spirituale a parte, la sovranità degli eredi di Pietro nella città eterna, a partire dalla metà del XVI secolo, si può esaminare seguendo un intricato e sincopato percorso, segnato dagli interventi urbanistici realizzati e da quelli, invece, rimasti incompiuti. Il libro "La magnificenza e l'utile. Progetto urbano e monarchia papale nella Roma del Seicento", di Aloisio Antinori, docente di Storia dell'architettura moderna presso l'Università del Molise (edito da Gangemi editore, 159 pagine), apre un interessante dibattito, con scritti e documenti inediti, sugli sviluppi ed esiti della mirata politica amministrativa e culturale dei capi della Chiesa Universale sulle mutazioni della forma urbana di Roma, senza perdere mai di vista le valenze simboliche della Città Santa.
All'avanguardia per la sistemazione delle quattro sedi carcerarie, collegate ai tribunali penali, il papato si preoccupa di riorganizzare il sistema annonario e, poco prima del giubileo del 1575, Ugo Boncompagni identifica nella zona delle terme di Diocleziano, il capiente granaio, posto sul colle del Viminale, protetto così dalle frequenti inondazioni del Tevere. A questa fase di avvio di specializzazione dell'area, seguirà la costruzione da parte di Sisto V della mostra monumentale dell'Acqua Felice con annesso lavatoio pubblico. Nel corso dei secoli, fino all'inizio del '700, intorno al complesso termale saranno utilizzati altri ambienti: sotto il "calidarium", per esempio, nasceranno spazi idonei a riserva di olio, e poco distante, per volere di Clemente XIV, sistemate le stanze della manifattura tessile del Calancà.
Dal saggio di Aloisio, presentato alla Galleria Corsini, (nuova direzione curata Paola Mangia, che ha avviato una risistemazione delle sale e un nuovo allestimento museale) dagli studiosi Claudia Conforti, Marcello Fagiolo e Augusto Roca De Amicis, sono emerse fondamentali indagini e risolutive spiegazioni sul problema dell'affermazione della loro sovranità, che i pontefici volevano esaltare con le costruzioni di chiese, palazzi pontifici, con gli ampliamenti di piazze e le modifiche apportate agli assi viari della città santa. " Studi avviati -specifica l'autore- da illustri docenti già precedentemente, tra cui Paolo Prodi e Manfredo Tafuri, avevano identificato un filo continuo nell'evoluzione della politica urbana papale, a partire da Nicolò V fino a Urbano VIII. Coerentemente, nei secoli, l'idea da portare avanti era quella di proporre uno Stato solido, che sostenesse ogni tipo di abbellimento e cambiamento architettonico per garantire la salute terrena ed eterna dei fedeli".
Tra i progetti conclusi, mirati ad accrescere la "magnificenza" del committente e riconoscibili oggi, nel testo Aloisio riporta con preziose documentazioni scritte e planimetrie, l'intervento sulla chiesa conventuale di Santa Maria della Pace. I lavori avviati nel 1656 da Alessandro VII Chigi, suggeriti da Virgilio Spada, prevedevano innanzitutto la realizzazione di una piazzetta, funzionale per la sosta della carrozze. Attento anche alla parte finanziaria del progetto, il consigliere del papa fu attento a specificare che la demolizione degli edifici circostanti, "conforme l'uso di Roma", era a carico dei proprietari, compensati dal miglioramento del sito e con la possibilità di aprire botteghe da cui trarre reddito dandole in fitto. .
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