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Manet, che Impressionismo di Fabiana MENDIA

Pur non essendone fino in fondo cosciente Edouard Manet con la sua pittura nel 1870 aveva provocato lo scisma dall'arte ufficiale. Per primo si era sottratto alla tirannia del soggetto, aveva preparato i tempi, i critici e il pubblico ad accogliere le provocazioni degli impressionisti. Dal 1859 al 1883 la vicenda dell'artista, protagonista della sedicesima monografia presentata da Vittorio Sgarbi, in edicola da domani con Il Messaggero si intreccia con quella dei Salons (esposizioni periodiche) e contemporaneamente con l'avventura della pittura moderna. Ha saputo interpretare e metabolizzare l'eredità del Realismo di Courbet e ha offerto agli amici Degas, Monet, Bazille, Renoir l'indicazione di una libertà da scegliere soprattutto nell'ambito del colore.
I suoi esordi sono evidenti omaggi alla pittura italiana del '500, alla spagnola e a quella olandese del '600. "Ragazzo con le ciliegie", "Gli studenti di Salamanca" sono saggi "di mestiere", attingono alla tradizione accademica studiata per sei anni con Couture. Applausi e rifiuti da parte delle istituzioni ufficiali sono il suo tormento: il leader degli impressionisti (ma non espose mai una volta con loro) ha sempre avvertito e sentito il bisogno di manifestarsi ed essere riconosciuto in quella che riteneva l'organismo più idoneo ad attribuirgli quel consenso di pubblico, di critica e quel successo a cui ha aspirato tutta la vita . I soggetti spagnoli dipinti a partire dal 1861, stimolati dall'arrivo a Parigi di una compagnia di danza, soddisfano l'esigenza di quel momento di creare accensioni cromatiche e vivacità figurative e gli sembrano anche i più adatti a essere investiti di libertà pittorica e compositiva: "Suonatore di chitarra", "Lola di Valencia". Manet poi si spinge oltre e nel suo universo poetico che ha come tema la rappresentazione della figura umana inserita però in un interno affronta lo studio del nudo femminile. Nasce la trilogia dei corpi seducenti, prima "Ninfa sorpresa" e "Déjeuner sur l'herbe", poi "Olympia". La giuria dei Salons giudica severamente le prime due tele e obbliga nel 1863 Manet a ritirarle.
L'imperatore Napoleone III fu costretto a trovare una risoluzione quell'anno anche per gli altri duemilacinquecento dipinti eliminati. Crea il celebre Salon dei Refusés, prima occasione di esposizione indipendente. "Le déjeuner", proponeva una provocatoria contaminazione iconografica dei modelli giorgioneschi dei "concerti campestri". Il picnic tra due studenti in conversazione con due ragazze, una nuda e l'altra in sottoveste, non piacque. Due anni dopo, presenta "Olympia": è la stessa modella Victorine stesa su di un letto. Questa pronipote delle Veneri tizianesche, questa Maja francese scatenò polemiche infuriate. E' un capolavoro di pittura pura dove il chiaroscuro è abolito e le figure hanno spessore e vita, grazie all'uso sapiente di sfumature e all'accostamento di colori appena diversi. "Quando smette di sognare Olympia si risveglia, la primavera entra tra le braccia di un dolce messaggero nero. E' la schiava simile alla notte amorosa…" Nel catalogo del Salon la tela è accompagnata da queste parole.
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