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Ignacio Pinazo di Fabiana MENDIA

Conventi tramutati in uffici e frati stanati come tassi, il Colosseo rasato dalle piante che per secoli si erano arrampicate per i tre ordini di arcate, un papa inerme che siede in Vaticano dichiarandosi prigioniero e un re pigro che compie scappate fugaci nella nuova capitale, per poi ripartire subito per qualche caccia. Una Roma che ha perso la sua aura per Ferdinand Gregorovius, lo storico prussiano che dal 1852 viveva nella città eterna, e che 21 anni dopo, nel redigere la “Storia della città di Roma nel Medio Evo” non riesce a fare a meno di esprimere tutto il suo rammarico. Per il pittore valenzano Ignacio Pinazo, tuttavia, la metamorfosi della capitale delle arti e della trasformazione in un mondo nuovo, non viene così percepita. Il furore della sua vocazione, che lo porterà ben presto ad abbandonare la sua attività di cappellaio, trova una grande occasione per conoscere il paese e l’arte dei protagonisti del Rinascimento, durante il primo viaggio in Italia nel 1873. Il giovane valenzano parte per una sorta di pellegrinaggio iniziatico durante il quale incontra a Roma Mariano Fortuny, un pittore di indubbia abilità tecnica, famoso per le scene galanti in costume, per i soggetti orientali e folkloristici, di un virtuosismo esibito e superficiale, che lo influenza profondamente.

Affascinante e misteriosa per la scoperta della coerenza delle sue idee e per l’anticonformismo delle forme, si annuncia la prima mostra monografica di Ignacio Pinazo, al Museo Hendrik C. Andersen, (via P.S. Mancini), una selezione di un centinaio di dipinti, provenienti dall’Istituto di Arte Moderna di Valencia, concentrata sull’enfasi creativa in Italia, dal 1873 al 1880. Si ammirano le piccole inquadrature di un luminismo vibrante delle scale dello suo studio di via Margutta 48 e delle descrizione di piante e di giardini; stupiscono gli schizzi a matita o a pennello in cui disegnava “l’intenzione, il movimento copiando ciò che vedeva ed indovinando l’invisibile”; ma, l’artista spagnolo conquista con le grandi tele di nudi infantili: “Giochi Icari”, un bambino madreperlaceo con la palla in bilico sul piede e “Il guardavia”, uno scugnizzo dal gran ciuffo ribelle, dove solo e nudo di spalle aspetta lungo i binari l’arrivo di un fantomatico treno, pronto a fare il suo dovere ed alzare la bandiera rossa.
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