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Marc Quinn alla casa di Giulietta a Verona di Fabiana MENDIA

Finzione, realtà. Funzione della finzione. La realtà della finzione. Non siamo su un set cinematografico, ma alla Casa di Giulietta Capuleti a Verona, dove l'incontro tra i due amanti sul balcone, che si affaccia sul cortile medievale, rappresenta una "puntata" della leggendaria storia di vita, amore e morte, inventata dallo scrittore vicentino Luigi da Porto nel 1524 - ripresa poi da Shakespeare settant'anni dopo- che ha folgorato Marc Quinn. Il palazzo di via Cappello è apparso all'artista inglese uno spazio irresistibile per esibire la sua statuaria classicheggiante e irriverente, le sue piante rigogliose dall'aspetto rapace e crudele, ("The Chromatic Nurseries of Eldorado") ed esporre le grandi tele "Flowers paintings", appariscenti orchidee tridimensionali, delle specie più rare come le "scarpette di Venere", che sbocciano spontaneamente sulle Alpi.
I totem antropomorfi e le opere sensazionali sono collocate lungo un percorso che crea, gradualmente l'attesa, per raggiungere, arrampicandosi per le impervie scale, la scoperta delle icone, tra le protagoniste dell'evento "Il Mito", a cura di Danilo Eccher, (organizzazione Civita in collaborazione con Byblos Art Gallery), inserito nei percorsi collaterali della 53a Biennale di Venezia. Nel sottotetto del museo, vertice di una piramide che parte dal piano terra con "Waiting for Godot", luccica la punta del piede in oro massiccio di "Siren", ritratto di Kate Moss, la modella che Quinn riprende anche in "Myth (Venus), visibile a Porta dei Borsari; non troppo distante da "Alison Lapper pregnant", maestosa e levigata, davanti il Palazzo della Gran Guardia. Ecco che i corpi delle due donne, ritratte in marmo bianco, chiariscono la poetica di Quinn: Kate simboleggia la perfezione che va oltre la realtà, un'astrazione. Alison, artista focomelica, con gambe e braccia non sviluppate, nasce da un'osservazione sulle statue antiche. Marc Quinn spiega, sinteticamente, l'analisi della sua riflessione: "Alison, come la "Venere di Milo". Ho pensato che se nella sala di un museo archeologico fosse entrata una persona reale, il cui corpo avesse avuto la stessa forma delle sculture, il pubblico avrebbe avuto una reazione esattamente opposta. Mi sembra che ci sia un divario tra ciò che è accettabile nell'arte ma non nella vita".

Dalle sculture-simbolo della bellezza, che va oltre la perfezione percettiva e che introduce l’esperienza della verità, attraverso la proposta di una fraseologia feticistica delle iscrizioni, poste sui muri all’ingresso della dimora di Giulietta: si va, quindi, al cuore del progetto della mostra. Le migliaia di dediche d’amore graffite da “artisti inconsapevoli” ha condotto l’artista inglese a pensare ai “Love paintings”. Quinn ha avviato un doppio processo: di “eutanasia della creazione” e di passaggio dalla realtà della vita alla trasformazione in “arte”. Le grandi tele vuote sono state affisse, in autunno, nell’androne della dimora di Giulietta per sottoporsi al rituale spontaneistico di autografia e scrittura da parte delle migliaia di visitatori. Quinn ha deciso, a un certo punto, di togliere i quadri dai muri, “di staccare i fili” e ha trasportato le “opere”nelle sale del museo, dove sono in esposizione. Dalla vita reale, all’ “Arte”: fino a novembre, capolavori firmati da Ale, Pauline, Giuly, Vladimir, Nadine, Alison, Pedro, che raggiungeranno con la complicità di Quinn, cifre da capogiro.
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