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Niki de Saint Phalle di Fabiana MENDIA

Sparare contro i colori contenuti in sacchetti appesi sulle tele: miscele colorate che colano sulle superfici verticali interrotte da rilievi di gesso che segnano rivoli non controllabili, che definiscono percorsi spontanei. Per le performance chiamate “Tirs” (“Tiri”), tra cui i celebri “Tir-Fragment de Dracule”, “Tir de l’ambassade americaine”, la sognatrice e disincantata Niki de Saint Phalle negli anni Sessanta sceglieva un fucile calibro 22. A volte preferiva mettersi da parte e invitava il pubblico a partecipare alla sua esperienza . Dopo gli spari di pittura direttamente sui sopporti, evidenti atti liberatori, cerca altri bersagli per confermare il desiderio della radicale scelta di far coincidere l’arte con la vita. Tormentata e problematica profetessa di un inno alla vita affermato fino in fondo durante la sua parabola esistenziale (l’arte diventerà un ancora di salvezza dopo una forte depressione), entra non sottovoce, ma con la forza dei tratti per progettare le sue mega sculture, con i prototipi in scala e con alcuni dei suoi personaggi visibilmente fuori misura, nelle sale del Museo Fondazione Roma. Il presidente Emmanuele Francesco Emanuele, neo eletto alla direzione dell’Azienda Palaexpo, ha con evidente entusiasmo, ieri mattina, inaugurato l’antologica dell’artista francese (ma vissuta a New York) con cento opere,  scelte dal curatore Stefano Cecchetto, che testimoniano il suo intenso percorso di meditazione e gioia e di affermazione del suo universo femminile. “ Un’affascinante e complessa protagonista di un periodo dell’arte internazionale- afferma il presidente Emanuele- in cui erano forti le tensioni sociali e politiche che Niki de Saint Phalle, vive fino in fondo, paladina delle sue idee”.
Dopo il primo impatto con l’energia delle sculture fiammeggianti di campiture cromatiche esplosive e dei calibrati ed elaborati disegni preparatori emerge il conflitto interiore dell’artista-performer che si evidenzia con l’intenzione che l’arte possa cambiare il mondo, non materialmente, ma mentalmente, psichicamente. Sullo sfondo delle contestazioni giovanili, dei movimenti di emancipazione femminista, Niki de Saint Phalle si proietta in quel particolare momento storico con le sue bambole ciclopiche, “Les Nanas”, “Le ragazze”: gioconde, generose nelle forme, ma  rassicuranti nonostante raggiungano i 12 e anche i 15 metri, realizzate in poliestere dipinto. Nelle “poupée” non c’è nessuna nota autobiografica, : l’esile ed elegante Niki era stata una modella di “Vogue” e “Harper’s Bazaar”. Il secondo capitolo della sua evoluzione artistica raccoglie in mostra opere come “Gwendalyn”, “Big Lady” , “Mini Nana Maison”.
Travolgente e poetica la fase che appassiona l’artista, a quei tempi già moglie di Jean Tinguely, della messa in scena del teatro a cielo aperto sulle colline di oliveti della Maremma. Studi, modelli, litografie introducono alla lettura dell’incredibile compagnia di commedianti, le gigantesche installazioni collocate nella tenuta di campagna di Garavicchio, acquistata nel 1960 da Nicola Caracciolo. La creazione de “Il giardino dei Tarocchi” coinvolge totalmente l’artista francese che con il marito si trasferisce nel 1979 nella grande casa gialla di Capalbio. Riveste i suoi personaggi-totem  di mosaici a specchio, vetri e ceramiche, impossibili da non vedere percorrendo l’Aurelia, un tributo all’architetto Gaudì, inventore del Parco Güell a Barcellona. Documentano l’ultima fase interpretativa, in cui si affanna a tradurre l’incongruità e la casualità dell’inconscio, le opere che compaiono sotto il titolo “Spiritual path”, segnate dalla passione intensa, dal riconoscimento delle affinità intellettuali e artistiche  con Tinguely:un linguaggio creativo espresso con misteriosa e genuina spontaneità, “allegorie” dell’esistenza e del suo amore universale.  
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