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Il trionfo dell'idiozia di Fabiana MENDIA

Disagio, crisi, denuncia sociale. Corruzione, incapacità di stare al potere, i disastri della guerra. Le follie sociali e di massa, le follie individuali, le alterazioni del ragionevole, la mostruosità del quotidiano. Tre artisti sono chiamati in causa con una serie di opere storiche e di satira sociale per rivelare il lato peggiore dell’umanità. L’aragonese Francisco Goya, il marsigliese Honorè Daumier e il tedesco George Grosz, dalla fine del ‘700 a metà degli anni ’50 del ‘900, si impegnano a dipingere “Il trionfo dell’Idiozia”. E’ Il titolo della mostra allestita a Castel Sant’Angelo, organizzata dall’associazione Meet in Art e dalla Fondazione Mazzotta, che raccoglie 250 tra acqueforti, acquetinte, puntasecche, litografie, disegni a matita e a china, di tre “indipendenti”del pennello in Europa, che senza peli sulla lingua beffeggiano e bersagliano la corte, le categorie sociali, le autorità.
Goya, il pittore di camera di Carlo IV, celebre ritrattista dell’aristocrazia madrilena, tra il 6 e il 7 febbraio del 1799 pubblica la serie dei “Capricci”: ottanta incisioni, originali, satiriche e fantastiche dove indaga quanto di irrazionale, di superstizioso e di disumano ci sia nella vita sociale, arrivando talvolta fino alla soglia della caricatura. “Il sogno della ragione genera mostri” è la didascalia di una delle sue opere più note, in cui l’autore assopito su un banco è circondato da creature della notte. Mostri, appunto, che visitano i suoi sogni (o sonni?) senza che lui possa avere nessun controllo. Seguono dal numero 43, le incisioni “Asnerìas” dove compaiono asini e somari a canzonare professioni e cariche, clero compreso. Tra cui la tavola “Tu che non puoi”, in cui due poveracci portano sulle spalle due asini. Descrive il mondo alla rovescia con il gusto del paradosso, in cui si palesa lo scambio di ruolo fra uomini e animali, per cui in questo mondo di folli è possibile che gli uomini debbano sopportare pesi che normalmente portano gli asini. Daumier, ex usciere e bibliotecario, si impone a Parigi negli anni ’30 come litografo, autore di un corpus di 4000 fogli. Commenta e critica con la sua satira politica gli anni della caduta di Carlo X, il regno di Luigi Filippo, che ritrae in modo irriverente a forma di pera e nei panni di “Gargantua”, mentre divora tutti i beni dei suoi sudditi. Con l’album “I bagnanti”, pubblicato tra il 1839 e il 1842, perlustra le scuole di nuoto, dalle proletarie con l’acqua profonda dieci centimetri a quelle sulla Senna. La grafica di Grosz, comunista militante nella socialdemocratica Repubblica di Weimer, dichiara il suo pessimismo esistenziale, senza possibilità di redenzione. Smaschera la società borghese e la sua protesta radicale punta a una critica feroce di carattere ideologico, morale e politico che sfocia nel 1918 nel Club Dada di Berlino.
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